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Perché non dovresti mai leggere libri (nemmeno se costretto)

In Italia si legge poco, pochissimo.
Una famiglia su dieci non ha nemmeno un volume in casa, poco più di un terzo della popolazione ha sfogliato un libro l’anno scorso e la metà dei ragazzini sotto i 17 anni non ha letto nulla al di fuori dei testi scolastici.

È allarme! È analfabetismo di ritorno (ma se n’era davvero andato?)! È panico tra gli addetti ai lavori, le case editrici, gli intellettuali, gli insegnanti! C’è terrore tra gli scrittori (soprattutto i wannabe).

Eppure, a rigor di logica, se la maggior parte degli italiani non legge, non saremo forse noi, la minoranza, a sbagliare? È davvero così importante amare i libri? E se fosse solo un complotto radical chic?

Ci ho riflettuto a lungo e ho tratto le mie conclusioni. I libri sono un pericolo. Ecco perché non dovresti mai leggerli:

Leggere fa perdere un sacco di tempo.  Sfogliare un libro la sera vuol dire non poter stare immobili davanti alla tv a fare zapping, leggere in metropolitana o sull’autobus significa rinunciare alle partite di Candy Crush, leggere in treno è sacrificare le telefonate a voce altissima, i sonnellini, il fissare il vuoto. Leggere prima di andare a dormire ti toglie tempo per lamentarti della giornata col tuo partner. Leggere in spiaggia ti distrae dalla tintarella. Leggere mentre sei in coda (dal medico, in posta, in aeroporto) ti impedisce di mandare mille messaggi vocali su Whatsapp. E chi ce l’ha il tempo per leggere?

I libri si riempiono di polvere.  E non saprei dove metterli. Le mensole del salotto mi servono per le bomboniere dei matrimoni degli amici e per i decoder. Gli ebook? No, ma non sono libri veri! Piuttosto allora non leggo proprio. E poi i libri costano e io voglio cambiarmi l’iPhone, appena esce il prossimo modello.

I libri fanno apprendere cose nuove. Ma ci rendiamo conto? Ho finito le scuole dell’obbligo. Ho preso anche una laurea. Secondo te, devo imparare altro? Sto a posto così!

I libri fanno perdere i pregiudizi. Ti fanno il lavaggio del cervello. E se leggi poi è un attimo che inizi a pensare che siamo tutti uguali, che abbiamo gli stessi diritti, che certe cose andrebbero cambiate, che esistono altri punti di vista. È già un mondo sull’orlo del baratro, senza farsi venire tutte queste strane idee. Non si stava forse meglio secoli fa, quando alle donne e ai poveri era impedito di imparare a leggere e scrivere?

Per leggere c’è bisogno di concentrazione. E io non amo concentrarmi durante il tempo libero (al massimo mi concentro nella guida in mezzo al traffico per arrivare al centro commerciale affollato).

Leggere fa vivere altre vite. Ed è già complicato viverne una!

Leggere fa sognare. E i sogni sono pericolosi, perché ti fanno venire il desiderio di essere migliore, di cercare di più (e poi inizi a lamentarti se ti porto ogni domenica al centro commerciale).

Leggere ti fa innamorare. Non una, ma cento, mille volte. E, diciamocelo, questa è una cosa un po’ da zoccole.

I personaggi dei romanzi che hai amato rimarranno tuoi amici per tutta la vita. Grazie, ma io sono a quasi cinquemila su Facebook e già mi sembrano troppi.

Libreria Acqua Alta di Venezia
Libreria Acqua Alta di Venezia

Coco sta tornando

Sono partita, poi rientrata e poi sparita.
Eppure avrei tanto, tantissimo da dire, da raccontare, da commentare.
Il blog sarà uno dei progetti che tornerò presto a seguire, intanto segnatevi la data del 12 novembre: in libreria ed ebook uscirà il mio nuovo romanzo.

Quando ormai pensavo che fosse una storia definitivamente archiviata (come tante storie d’amore nella vita), Rebecca Bruni è tornata a bussare alla mia porta e a chiedermi di fare pace.

Così è nato Natale da Chanel, terzo e ultimo episodio della vita della nostra Coco.

Perché nessuno racconta mai quello che succede nelle favole dopo il “vissero felici e contenti”…

Natale da Chanel
Natale da Chanel

Le frasi sul mestiere di scrittore che mi fanno schiumare di rabbia

(Considerato il grande successo, riporto anche qui il post sul mestiere di scrivere scritto oggi su Facebook, affinché non si perda per sempre nella serendipity zuckembergiana).

Le frasi sul mio lavoro che mi fanno schiumare di rabbia:

Ma tanto puoi scrivere ovunque, basta portarti dietro il computer!
No, perché, come per tutti i mestieri, hai bisogno di uno spazio dedicato, comodo, confortevole e silenzioso. E soprattutto che conosci e in cui ti senti a tuo agio. Non so scrivere sul divano di mia zia, nel baretto sotto casa o sul charter per Fortaleza. Io scrivo al mio tavolo di lavoro, nel silenzio.

– Ma se scrivi 10 ore al giorno, in una settimana hai finito il libro.
Se scrivi 10 ore al giorno, la maggior parte delle pagine sarà ahdjaduhaihdafuehnandahehakdnahdajdfhehifhfjhakdha perché l’attenzione creativa non dura per ore (dicono che oltre i 45 minuti hai bisogno di un break). Devi fare spesso pause, a volte fissi il foglio per un pomeriggio senza scrivere nulla, altre passi notti senza alzare mai le mani dalla tastiera. Se ci fosse una regola fissa ore di scrittura/pagine scritte, saremmo tutti Dostoevskij.

– Ma scusa, non ti dicono loro che storia devi scrivere?
Loro chi? Gli alieni? Gli spiriti? I Marò? Le storie sono una mia invenzione e sono l’80% del lavoro di uno scrittore. Come e cosa racconti vanno di pari passo e non importa se sono storie autobiografiche, storiche, inventate o rielaborate. Dovrebbero essere tue. Anche perché, che interesse avrebbe un editore a far pubblicare chi non ha niente da raccontare? Sarebbe un folle a inventare TUTTI i soggetti dei libri che pubblica. Oppure sarebbe un genio.

– Va be’, ma quest’anno hai scritto solo per tre/quattro mesi, il resto del tempo non hai fatto un cazzo.
Leggere, prendere appunti, viaggiare, parlare con la gente, intervistare, andare al cinema, studiare sceneggiature, discutere con editor ed editori, leggere ancora e poi leggere ancora fanno parte del lavoro. Una grande parte del lavoro. Poi ci sono quelli che scrivono una pagina al giorno, ogni giorno per tutto l’anno e gli altri, come me, che si chiudono in casa e in un mese e mezzo sfornano il libro, perché sanno mettere su carta tutto quello pensato e immaginato solo sotto pressione.

-Che significa che hai “il blocco”? Tu comincia e scrivere e poi la storia viene.
Sei un cretino.

-Ma si guadagna a scrivere libri?
Una volta per tutte e definitiva: non si guadagna a scrivere libri. Si guadagna a venderli. E su quello nessuno può esserne certo. Non è un modo per arricchirsi, a patto di non essere bravissimo o fortunatissimo. È un modo per vivere una vita bellissima, anche, magari, facendo la fame.

Come nascono le storie

Mi hanno chiesto “come nascono le storie?” e mi è tornata in mente quella volta che ho notato una poltrona vuota in quella grande sala d’attesa dell’aeroporto e ho capito che c’era una storia d’amore da raccontare.
Le storie nascono da ricordi, dai lunghi pianti o brevi sorrisi, da viaggi, da aneddoti ascoltati per sbaglio, dalle scadenze sempre troppo ravvicinate delle consegne, dai libri e i film che ho amato e odiato, da brainstorming, da lunghe telefonate, da un’email, da un viaggio in metropolitana, da una canzone ascoltata distrattamente, da un bicchiere di vino, da una notte insonne.
Sono piccoli puntini colorati nascosti da strati di malta bianca e bisogna rimuovere, scavare, togliere, raschiare via e restaurare, per portarli alla luce.
Non bisognerebbe mai scrivere per pubblicare, per diventare qualcuno, per riempire uno scaffale, per annusare della carta. Bisogna scrivere perché la storia diventa incontenibile e non riesci più a tenerla nella testa e spinge e preme ed erutta ed esplode.
I lettori non sono persone che comprano, ma esseri umani che si riempiono della storia che un tempo, per poco o a lungo, era stata tua.
Se non ce l’hai, se non l’hai ancora trovata, non sforzarti, non cercarla ovunque con ansia e frustrazione, non commiserarti, non sentirti orfano. Se la tua storia non arriva, leggi, vai al cinema da solo, mangia quello che ti piace, fai all’amore, piangi, ridi, ascolta musica o stai in silenzio, parla, ascolta, parti per un viaggio, annusa il vino prima di berlo, passeggia, respira. E vivi. Perché la vita è l’unica storia incredibile che puoi raccontarti solo tu.

Il prossimo anno voglio essere felice

Non piacerebbe anche a te, certe mattine, che una voce fuori campo riassumesse il tuo passato come prima dei telefilm quando “nelle puntate precedenti…”?

Avevo voglia di raccontare, come ormai faccio da dieci anni, e di condividere gli ultimi dodici mesi, ma mi rendo conto che quest’anno ho fatto già tantissimi bilanci che ho vissuto un capodanno ogni trimestre. Ogni cambiamento è stato un inizio: i viaggi, gli addii, i successi e gli insuccessi, il lavoro perso, gli amici ritrovati.
Stamattina ho la sensazione che non sia l’ultimo giorno di qualcosa, ma l’ennesimo giorno meraviglioso e complicato di questo reality che si chiama vita.
Gli anni meno faticosi passano più in fretta. Il 2013 è stato forse un periodo di transizione. Sto meglio, molto meglio, rispetto a un paio di anni fa in cui tutto è andato a pezzi ed era impossibile anche solo alzarsi la mattina.

Ho lavorato poco. Il 2012 avevo guadagnato la metà esatta dell’anno precedente e quest’anno ancora un terzo in meno. Molto di quello che ho guadagnato non mi è stato ancora pagato. Vivo di prestiti, risparmi e speranza e, se non fossi così incosciente, se avessi una famiglia, dei figli da mantenere o anche solo un’automobile, se non fossi pronta ad arrangiarmi, sarebbe molto più drammatico. Ma siamo quasi tutti su questo barcone sgangherato e ci facciamo forza e sappiamo che qualcosa prima o poi cambierà. E se è vero che non sempre abbiamo fatto abbastanza per lavorare di più e meglio, spesso abbiamo dato il massimo senza avere un ritorno.

I giorni che non ho lavorato, ho scritto. Tanti articoli, tante lettere, un romanzo nuovo e un romanzo breve che ho amato molto, ma i lettori meno. Poi mi sono presa una pausa. Per cambiare. Perché questi libri che ho pubblicato non sono io. Non sono Daniela. E forse non sono nemmeno tanto Dania. Sono piena di storie, ma storie diverse, linguaggi differenti, personaggi che mi somigliano molto di più, che dicono parolacce, che viaggiano in seconda classe, che indossano anfibi e vanno a fare la spesa al mercato.
Allora ho deciso che basta, che voglio scrivere una storia mia.
Quindi niente terzo capitolo della saga Chanel, niente glamour, niente amore.
E pensavo che sarebbe stato tutto più facile, invece è un casino e ho la testa che esplode e la pagina bianca davanti agli occhi che è come una ferita sanguinante.
Il tempo che passa, ormai, è scandito solo dalla persistenza delle mie pagine vuote. Fa male.

Prima o poi anche i libri mi verranno pagati (i diritti arrivano con molta calma) e inizierò a vivere questo tempo china sulla tastiera come un vero lavoro. Forse allora sarò più motivata, forse le parole usciranno più in fretta e più disciplinate. O forse no.

Ho viaggiato, non quanto vorrei, ma ho preso gli aerei giusti e ho passato dei giorni di tale serenità che mi sono chiesta perché non averlo fatto prima, sorvolare l’Oceano, riunire la famiglia, visitare i posti che ho sempre desiderato, mangiare tutto, ma proprio tutto quello che mi va.

Certi mesi mi sono scivolati addosso, perché non c’era niente da conquistare, altri sono stati delle battaglie, infinite.

L’amore è stata la cosa più complicata (non è sempre così?). Due passi avanti, uno indietro, addii, ritorni, promesse e lacrime, baci lunghissimi, fughe, parole scritte e tante parole non dette, canzoni, film, accuse, dichiarazioni. Colpi di scena.

È stato come avere di nuovo vent’anni, vivere le relazioni alla giornata, non sapere se domani sarà ancora tutto bello, avere il terrore di progettare insieme.
Ormai siamo arrivati fin qui, non possiamo tornare indietro, non possiamo buttare tutto, ce lo siamo guadagnato, conserviamolo, proteggiamolo.

È stato un anno disordinato, che mi ha insegnato che gli altri non possono sempre diventare alibi per la nostra negligenza, che se vogliamo cambiare, dobbiamo farlo e basta, noi da soli, perché tutti possono cambiare. Mi ha insegnato che c’è sempre una seconda occasione e, se non dovesse esserci, ci sarà un‘altra occasione, diversa ma non meno importante. Mi ha insegnato che le persone belle devi tenertele strette, a costo di superare la pigrizia e l’egoismo e la paura, perché il tempo passa e cancella tutto e l’unica cosa che conserverai per sempre sono i compagni di viaggio. Mi ha insegnato che i soldi e il successo e l’apparenza e la bellezza possono essere importanti, ma non a costo di non riconoscerti più, di modificare i tuoi sogni; che tra un mese dimenticherai la tua ospitata in TV, ma ricorderai per sempre le serate a ridere con gli amici, la coda lunghissima per  salire in cima a un grattacielo per guardare il tramonto, le canzoni urlate durante un concerto in uno stadio pieno di gente.

Mi ha insegnato che non c’è un arrivo, che la strada è infinita, che possiamo fare una sosta, per stanchezza, per rabbia, per pigrizia, ma poi dobbiamo rimetterci in viaggio, noi che siamo i nomadi del nostro destino.

Il prossimo anno voglio essere felice.
È un proposito folle, credete che non lo sappia?
Ma voglio metterci pazzia nel futuro.
Voglio scrivere il mio romanzo, voglio stare solo con le persone belle e tenere tutti gli altri a distanza, i gatti e le volpi, i falsi, gli approfittatori, le galline tutte tette e sorrisi e niente cervello, gli insicuri che ti succhiano il sangue, gli invidiosi. Voglio viaggiare di più, ma molto di più, voglio guadagnare abbastanza da poter tirare il fiato, voglio dire no a tutte le cose che non mi piacciono, le serate con i dress code, i finti amici, i locali con la lista all’ingresso, le cene in cui “voglio parlarti di un lavoro” e invece è solo marpionamento, le comparsate che chissenefrega, le foto fatte solo per dire io c’ero, le competizioni non richieste, gli insulti gratuiti di troll e stalker, quelli che “non ti fai mai sentire” e non ti chiamano mai.
Voglio stare con te, non solo il prossimo anno, ma tutta la vita, a costo di inseguirti e poi fuggire, di cambiare e poi tornare indietro.
E poi dormire un anno intero senza prendere sonniferi e mangiare senza sensi di colpa e sorridere solo se ne ho veramente voglia e non avere sempre l’ansia spaventosa di perdere tutto.

Voglio arrivare a fine anno e dire che meraviglia! Hai visto che non era impossibile? Che ce la potevo fare?
E se non ce la dovessi fare, poi ci sarà l’anno successivo e quello dopo ancora.
Non ci fermiamo mai.
Non voglio fermarmi mai. Ho le scarpe giuste, il fiato allenato, la borsa leggera e la colonna sonora perfetta.

BUON ANNO NUOVO.

Tra le pagine

Ho ripreso in mano un libro che non sfogliavo da tempo per trovarci dentro una risposta.

Cercavo di capire se un personaggio sfocato della mia recente vita non fosse solo l’ombra di un personaggio che avevo amato in un romanzo dimenticato sullo scaffale.

Tra le pagine ho trovato un foglio color salmone, con un messaggio che mi avevi lasciato tu.

Ho ritrovato, dopo tredici anni, il tuo messaggio che parlava delle tue scarpe rosse e di uno dei tuoi viaggi, in un libro che non avevo più aperto, ma al quale avevo pensato spesso.

L’ho trovato stamattina, dopo che ieri, rompendo un silenzio durato un decennio, tu sei venuta da me a cercare un sorriso, tra le pagine di un social network che non ha il colore, l’odore e il rumore di tutta la carta che abbiamo consumato.

Non lo so se sono solo coincidenze, non lo so se il destino ha deciso che per ogni persona che si allontana ce n’è sempre una che ritorna da un lungo lunghissimo viaggio.

So solo che il tempo è la distanza più crudele.

E che quando tu, troppi anni fa, in quella Napoli che non era già più nostra, mi ha chiesto se sarebbe stato per sempre non ho avuto il coraggio di mentirti, come farei ora, per non lasciarti andare via.

Romanzo epistolare

“Gentile Signora,
[…] Da qualche mese a questa parte, con il nostro Paese immerso in una crisi economica grave e profonda, la vita si è fatta ancora più difficile. […]
Magari si vorrebbero aiutare i propri figli o i propri nipoti, perché pensando a loro le preoccupazioni sono tante: se troveranno mai un lavoro che non sia così precario, se dopo aver fatto tanti sacrifici per farli studiare si potrà finalmente vederli sereni e soddisfatti, se questi ragazzi riusciranno a sposarsi e ad avere i soldi per l’affitto o meglio ancora per un mutuo.
Le donne italiane hanno faticato tanto nella vita. Lavorando, in casa e fuori casa e sempre occupandosi della famiglia, sempre colmando le assenze di noi uomini. […]
Metteremo ogni nostra energia per sconfiggere le ingiustizie e le disuguaglianze che vediamo ogni giorno e che gridano vendetta.”

Da dove sono tratte queste toccanti parole?

– Dalle Ultime lettere di Jacopo Ortis.
– Dalla seconda lettera di S. Paolo Apostolo ai Corinzi.
– Da La lettera scarlatta.
– Da I dolori del giovane Werther.
– Dalla Lettera a un bambino mai nato.
– Dalla lettera di un democristiano, ora a capo del PD, a tutte le basite sessantenni italiane.