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Il blocco dello scrittore e la fatica dei ricordi

Ogni scrittore ha le sue tecniche per la redazione di un testo e la sua disciplina (o presunta tale).
Alcuni riescono a creare pagine ogni giorno, altri hanno bisogno di un periodo di distacco dal foglio bianco (che è quasi sempre, per tutti, uno schermo bianco), altri ancora – i più invidiati da chi fa questo mestiere – sono organizzati come dei veri ragionieri della letteratura, con scalette, scadenze, numeri di pagina per capitolo e tot parole per paragrafo.

Prima di iniziare un nuovo libro, io devo vedere e vivere tutta la storia nella mia testa, dall’inizio alla fine, perché scrivo sempre come se rielaborassi un ricordo. 
Come se i personaggi li avessi visti e conosciuti e, solo poi, mi fossi decisa a raccontarli, come si racconta un aneddoto durante una cena tra amici.
Per molti mesi studio, leggo tantissimo, guardo numerosi film e tante serie Tv, viaggio, parlo con le persone, osservo come muovono le mani, come camminano, guardo dentro i cortili dei palazzi o attraverso le finestre senza tende, spio tutti, sperando di trovare in un gesto o nell’inflessione della voce uno dei miei protagonisti. Poi la storia cresce, riemerge nella memoria. Sono frasi spezzate, suggestioni, battute, scene osservate in soggettiva o riportate da qualche compagno di avventura.
A volte la memoria del mio libro, quella che rielaboro nella mia mente prima di fissarla con le parole, fa cilecca. Certi libri sono dolorosi, anche se leggeri, altri sono fuggevoli, come ricordi distratti, vita che hai vissuto mentre eri occupato a fare altro. Altri sono troppo intensi e non riesci mai a trovare il tono giusto, l’inflessione giusta, la lingua in grado di rendergli giustizia.
L’ultimo romanzo è nella mia testa da così tanto tempo che a volte penso che non troverà mai la luce. È così mio che non riesco a rivelarlo nel modo in cui vorrei,  come le storie d’amore, che quando le racconti ad alta voce sembrano meno speciali e intense di come sono nella tua testa.

Ogni scrittore ha le sue tecniche e le mie non sono mai state da professionista. Sono umorale, malinconica, timida (estremamente pudica, quando si tratta delle mie parole), spaventata, distratta, sempre e perennemente in lotta con la mia autostima.
Vorrei che questo racconto fosse uguale a quello che ho in testa, fosse simile alla storia che mi ripeto da tempo, fosse potente come le immagini che vedo quando chiudo gli occhi. Lo vorrei e a volte penso di esserne capace. Fino a quando non mi ritrovo davanti alla mia tastiera, senza coraggio e senza forza. Perché scrivere è un mestiere bello, ma crudele e a volte frustrante. Perché ogni persona che vive dentro le pagine potrà confermarlo: i libri più belli sono quelli che abbiamo pensato per tantissimo tempo e non siamo mai stati capaci di scrivere.

Questa primavera voglio innamorarmi dell’uomo sbagliato

Un mese fa ho partecipato come autore a una campagna di native advertising per il brand Yamamay, su VanityFair. Avevo un ruolo a metà tra Don Draper e Barbara Alberti ed è stato uno dei lavori più stimolanti fatti negli ultimi tempi. Oltre alle interviste per la parte video, ho scritto tre pezzi, sul tema primavera, femminilità e percezione del corpo.
 Vi riporto il primo, che amo molto, perché è un vero e proprio manifesto sul mio essere donna (imperfetta).
 Lo dedico a tutte quelle come me. Buona lettura.

Ho iniziato il conto alla rovescia in attesa della primavera.
Dicono che sia la stagione delle donne, perché il sole mette in circolo le endorfine e ci rende più luminose, più allegre, piene di energia e di voglia di fare, pronte, prontissime all’innamoramento. È la nostra stagione perché sbocciano i fiori (e non solo quelli di mimosa), perché i capelli crescono più velocemente, perché la pelle è più liscia e la pancia più piatta (sia benedetta la scarsa ritenzione idrica!), perché puoi lasciare a casa i cappotti e le sciarpe, mostrare il decolté, indossare i sandali, girare in biciletta. Quando arriverà la stagione più bella, quella che lascia alle spalle il gelo e il grigio dell’inverno, con le giornate che si allungano e la luce del sole più brillante, con gli alberi fioriti, le fragole, i vestiti più leggeri e gli aperitivi all’aperto, voglio che nessuno mi dica che tipo di donna devo essere.

Non accetterò consigli su cosa è giusto e cosa, invece, non si dovrebbe fare, non voglio regole da seguire per conquistare, tecniche per far capitolare, stratagemmi per abbindolare. Non ditemi che devo perdere tre chili, che dovrei fare la frangia, che il pizzo non mi dona, che non ho più l’età per portare il rosa.

Non voglio cambiare il mio corpo, voglio assecondarlo.
Questa primavera voglio essere me stessa.

Non fatemi sapere che gli uomini vogliono le donne dolci o che le vogliono aggressive, che devo parlare di più o devo stare zitta, che devo sorridere oppure fare l’imbronciata. Non mi lascerò condizionare da chi pretende che sia meno di quello che sono o chi mi chiede di diventare molto di più, da chi vuole nascondere il mio corpo o da chi vorrebbe esporlo come un vessillo. Sono stanca di essere una bandiera, io voglio solo essere una donna. Una donna che prende decisioni giuste o quelle sbagliate, con l’inviolabile diritto di decidere di testa sua. Voglio che il mio corpo diventi la primavera, che sbocci, che sia luminoso, e che a volte, come capita anche nei mesi belli, sia una nuvola nera, piena di tempesta.

Questa primavera voglio mostrarmi. Indosserò abiti corti, sottovesti leggere, minigonne. Metterò camicie di seta e cotone candido e ricamato. E non mi interessa se non sono formosa, se non sono slanciata, se ho qualche rotolino, se non ho più l’età. Voglio le braccia nude e le gambe libere di portarmi dove desiderano, di correre, di accavallarsi per sedurre.

Questa primavera voglio giocare con i capelli, arrotolarli sulle dita, tenerli davanti agli occhi o raccoglierli. Voglio sentirli scendere sulle spalle, fermarli dietro un orecchio, lasciarli crescere fino a metà schiena o tagliarli. Voglio smetterla di preoccuparmi della piega perfetta e trovarmi bellissima anche appena sveglia, tutta scarmigliata come dopo aver fatto l’amore.
Questa primavera voglio dare il bacio più romantico di sempre.
Cercherò la luce giusta, la perfetta colonna sonora, lascerò che mi infili la mano tra i capelli sulla nuca e che annusi il mio profumo, prima di raggiungere le labbra. Lo darò a occhi chiusi o aperti, non importa, e solo se ne avrò voglia. E anche se non trasformerà il mio ranocchio nel Principe Azzurro, sarà comunque un momento da ricordare per sempre.

Questa primavera voglio guardare il mio uomo come se fosse il più grande amore della mia vita, anche se ci diremo addio con l’inizio dell’estate.
Questa primavera smetterò di credere al vissero felici e contenti e inizierò a credere al vissero ogni minuto intensamente.
Questa primavera non voglio cercare l’uomo giusto, voglio cercare l’emozione giusta.
Questa primavera voglio essere me stessa. Anche se sono imperfetta, anche se faccio degli errori. Perché, nonostante tutto, io lo so che sono la donna migliore che posso essere.

[Gli altri due pezzi li trovate qui: Felicità: tutti i segreti per sorridere in primavera e Primavera: è arrivato il momento di conquistare il tuo lui (e il mondo)]

Siamo migliori della paura e della rabbia

“Siamo in guerra”.
L’ho sentito ripetutamente, ieri, mentre restavo a nutrirmi di immagini di Bruxelles, colpita e ferita, e commenti e opinioni fino a notte fonda.
“Siamo in guerra” e io volevo e cercavo di saperne e capirne di più, oltre lo sciacallaggio, le grida, i proclami, la confusione.
Il terrorismo inasprisce i toni già alti e feroci, nei discorsi da bar, sulle bacheche di Facebook, nei talk-show. Sono la frustrazione, la paura, l’indignazione e l’odio, che ci cresce dentro nonostante noi, a guidare le parole. È umano.
C’è bisogno di un grande sforzo e grande lucidità per andare oltre il populismo e gli slogan e comprendere, farsi un’opinione critica, non lasciarsi coinvolgere in inutili cacce alle streghe, non puntare il dito accusatorio contro innocenti solo per il bisogno di avere un capro espiatorio.
Nel 1996, un anno dopo l’assassinio di Yitzhak Rabin, mi sono iscritta al corso di Laurea in lingue orientali, per studiare l’arabo e l’ebraico. Volevo cambiare il mondo, con la presunzione e l’energia dei diciottenni che pensano che esista un solo bene, senza sfumature, e vada perseguito.
Studiare l’Islam e l’Ebraismo è stato l’atto più rivoluzionario della mia giovane vita. Ha messo in discussione ogni idea di giusto e sbagliato che avevo, ha sbriciolato le mie certezze ideologiche, mi ha mostrato la complessità del mondo e la difficoltà, spesso ridicola, della geopolitica, mi ha fatto prendere strade che non avrei mai intrapreso.
Daesh, l’autoproclamato Stato Islamico (perché l’autorità se la sono data da soli, nessuno gliel’ha mai conferita), con la sua follia, la ferocia, la disumanità,  mette alla prova anche le visioni più ottimistiche sulla multiconfessionalità, l’integrazione, la convivenza pacifica. Come tutti, negli ultimi mesi mi sono chiesta spesso se quello che pensavo e ritenevo giusto, dopo le bombe e le vittime e la perdita della sensazione di sicurezza della democrazia, fosse ancora legittimo.
La paura esclude e non include. Chiude e non apre spiragli. Fa coprire gli occhi e limita il campo d’azione.

La paura è un sentimento reazionario che spinge verso scelte reazionarie. Storicamente trascina i popoli alla dittatura, nell’illusione che sospendere le garanzie democratiche possa proteggere meglio dal terrore. In realtà il populismo porta all’isolamento e l’isolamento non fa che aumentare il pericolo. Ma se avere paura è un diritto, e in certa misura un dovere, anche non perdere la testa lo è”, scrive stamattina Massimo Gramellini.

Sappiamo tutti che analizzare a freddo il terrore è molto più facile che viverlo in prima persona, ma se è vero che siamo in guerra, senza averlo scelto, senza essere preparati, avendo ripudiato la guerra stessa anche costituzionalmente, è il momento di essere più forti che mai.
Nel mio piccolo, cerco di non cambiare troppo le mie abitudini, sono tornata a studiare per capire, provo a non esacerbare i toni nelle discussioni pubbliche, discuto pacatamente con gli amici, cercando di comprendere anche il loro punto di vista, leggo più giornali, ascolto di più.
A differenza di tanti, non ho voglia di litigare. Perché alzando la voce rischio di finire a pensare e dire cose diverse da me. E di avere ancora più paura.
Facciamoci forza insieme e cerchiamo di essere migliori degli slogan e della rabbia. Sono convinta che siamo più forti di loro e lo dimostreremo.
Ci aspettano tempi difficili. Speriamo durino poco, pochissimo.

Non fermarti fino alla fine

È il momento dei bilanci e scrivo questo post, come ogni anno, con la speranza di ritrovarci un giorno, rileggendolo, una traccia di quello che mi ha portato a essere quello che sono.

È stato un anno intenso, quello appena trascorso, e bello, in ogni sua sfumatura, anche quella più dolorosa e difficile. Un anno in cui sono riuscita a ottenere quello che cercavo da una vita intera, la serenità, la fiducia in me stessa, e a perdere quello che mi trascinavo da molti anni dietro come un macigno legato al collo, la paura del futuro.

Butto giù queste righe come appunto, per chiunque abbia voglia di leggerle o di rileggerle, per condividere quello che ho imparato, a volte mio malgrado, in questi mesi veloci e insaziabili.

Per ottenere qualcosa che desideri tanto devi saper rinunciare a qualcos’altro di altrettanto prezioso. È così che ho rinunciato a qualche guadagno in più in cambio del tempo. Non è stata una scelta molto difficile, data la mia incapacità perenne di arricchirmi, ma è comunque stata faticosa, perché mi ha costretta a molte rinunce. Lavoro e soldi in meno in cambio di ore, di giorni, settimane libere, per poter leggere, viaggiare, stare insieme a persone che amo, guardare film e serie TV fino ad avere male agli occhi, prendere appunti su nuove storie, andare a parlare con nuovi editori, scoprire nuovi angoli di mondo da raccontare, scrivere.
Ho dato fondo a quasi tutti i miei risparmi, ma non mi pento di nulla. Il tempo che mi sono concessa è stato il più grande tesoro che potessi mai desiderare.

Per riuscire a spiccare il volo devi sbarazzarti delle persone che continuano  a trattenerti a terra. Ed è così che, con la testa piena di storie, sono andata a cercare qualcuno che potesse capirle e capirmi e che potesse aiutarmi a scrivere, finalmente, le pagine che desidero.

Non sono sempre gli altri a essere sbagliati, a volte sei tu che hai bisogno di guardarti da fuori e imparare a cambiare e chiedere scusa.

Il successo può durare pochissimo, i sogni sono eterni.

La libertà, soprattutto quella di essere controcorrente e fuori dagli schemi, è un fardello difficile da trasportare.

Non devi mai permettere a nessuno di dirti che non puoi farcela, se tu sai di essere all’altezza.

L’amore è faticoso, ma vale tutte le lacrime che ti ruba. Anche quando finisce e ti lascia pieno di cicatrici. Ne vale sempre la pena.

Il futuro non deve farti paura. Hai almeno il 50% di probabilità di essere felice. Quindi provaci.

Il prossimo anno passerà più veloce di quanto tu creda, quindi prendi la rincorsa e non fermarti fino alla fine.

La felicità è un esercizio di sottrazione

Ieri era il tuo compleanno, a due giorni dal Natale, e mi è tornata in mente quella sera di cinque anni fa, quando ho deciso di chiudere il capitolo della mia vita che non funzionava più e tu eri lì. Poi ci sono stati terremoti e lacrime, fughe e viaggi in treno, abbracci e sospiri, camere in affitto e tentativi, parole che non hanno funzionato e silenzi troppo efficaci, scelte che hanno fatto male e non scelte che sono state ancora peggio.
Quella sera di cinque anni fa sono corsa via senza una spiegazione ed è uno dei più grandi rimpianti di sempre, perché ora che non ci sei più vorrei tanto ordinare un altro bicchiere di rosso e raccontarti tutto, tutto quello che ti sei persa, tutto quello che ancora resta.
Vorrei dirti che ho imparato a stare a galla, che non sono più in guerra col mondo. Che ho imparato a dire no e a tenere lontane le persone che non vanno, a prendere le decisione giuste, a firmare i contratti senza clausole scritte troppo in piccolo. Ho capito come farla funzionare, la vita che tu amavi più di me, e adesso è tutto chiaro, tutto quasi perfetto. Adesso che ho tolto la rabbia, l’ansia da prestazione, la paura di fallire, la sensazione di non essere all’altezza. Adesso che ho tolto le ipocrisie dalle amicizie, le insoddisfazioni dal lavoro, i tentennamenti dall’amore, adesso è tutto più facile.

La felicità è un esercizio di sottrazione.

E quando tutto diventa più semplice, quando ti spogli dalle corazze, quando ti svuoti da tutti i pensieri che tieni dentro e non vuoi esprimere mai, quando spieghi le tue ragioni fino all’ultima sillaba, quando provi fino all’ultimo alito di fiato, allora tutto va come deve andare. Ed è bello. E si sta bene.

Quella sera del tuo compleanno di cinque anni fa non potevo saperlo, che un giorno sarei stata felice. Vorrei potertelo dire adesso. Vorrei che potessimo riderne insieme. Vorrei poterti abbracciare e confessare “Axi, avevi ragione”.

Tu non ci sei più, ma molto resta ancora ed è stato un anno bello, il primo di sempre senza aver paura, e so che molti altri verranno e io non fuggirò più via e li affronterò ridendo, come avresti fatto tu.

Rosso Dania – Il mio regalo ai lettori

Quando ho conosciuto Paolo Salerno a Bologna, circa dodici anni fa, vivevamo entrambi vite diverse, rivoluzionarie, impegnate e scapestrate come i vent’anni. Ci siamo ritrovati alla stazione di Milano Centrale, una decade dopo aver perso le nostre tracce, lievemente più adulti, un po’ più stanchi, ma follemente ancora sognatori. Rincontrarsi è stato come quando i supereroi si riconoscono, come quando Holly vede Benji, come quando il capitano Solo incontra Skywalker.

Abbiamo subito capito che avremmo fatto grandi cose insieme.

Per lo più abbiamo bevuto, litri di bollicine, e riso tanto. Poi, all’inizio dell’anno, ci è venuta l’idea: perché non uniamo i nostri talenti e creiamo una cosa unica?

Rosso Dania è nato così.

Rosso Dania by TNS

La mia fissa per il rosso non è un segreto, come recita il titolo del mio romanzo meglio riuscito. Paolo ha avuto il colpo di genio: mi ha messo in contatto con le meravigliose ragazze di TNS Cosmetics, io ho scelto il mio pantone preferito inedito, lui ha messo in atto la campagna stampa et voilà lo smalto più incredibile mai creato.

E sapete qual è la notizia più strepitosa?

Rosso Dania non lo troverete in vendita, ma in regalo con il mio nuovo libro!!!

Natale da Chanel e Rosso Dania

Grazie alla collaborazione del mio strafigo (si può dire?) editore Newton Compton, fino a esaurimento scorte, troverete lo smalto in omaggio insieme a Natale da Chanel, in tutte le maggiori librerie dei circuiti Feltrinelli, Giunti e Mondadori.

Chiedete al vostro libraio di fiducia se aderisce all’iniziativa e correte come maratoneti agli scaffali il 12 novembre. Gli omaggi sono limitati: chi prima arriva, avrà le mani più belle!

Questo è il mio regalo per ringraziarvi del vostro affetto e della vostra passione per i miei libri. Spero lo amerete come lo amo io. E grazie perché non smettete mai di credere in me.

Buona lettura e buon rosso a tutti!

P.s. se sarete tra le fortunate ad accaparrarvi lo smalto, potete condividere la vostra manicure e il libro sui social con gli hashtag #rossoDania e #NataleDaChanel

P.p.s. Ancora grazie a TNS Cosmetics e a Newton Compton.  Je vous aime comme une folle!

Coco sta tornando

Sono partita, poi rientrata e poi sparita.
Eppure avrei tanto, tantissimo da dire, da raccontare, da commentare.
Il blog sarà uno dei progetti che tornerò presto a seguire, intanto segnatevi la data del 12 novembre: in libreria ed ebook uscirà il mio nuovo romanzo.

Quando ormai pensavo che fosse una storia definitivamente archiviata (come tante storie d’amore nella vita), Rebecca Bruni è tornata a bussare alla mia porta e a chiedermi di fare pace.

Così è nato Natale da Chanel, terzo e ultimo episodio della vita della nostra Coco.

Perché nessuno racconta mai quello che succede nelle favole dopo il “vissero felici e contenti”…

Natale da Chanel
Natale da Chanel

Vado a Cuba, fate i bravi

Domani parto per Cuba.
Volevo visitarla da tanti anni, ma poi il lavoro, i traslochi, la vita, le consegne, altri viaggi, compagni d’avventura andati ed altri ritrovati mi hanno distratta. Soltanto la bandiera americana che di nuovo sventola sull’ambasciata all’Avana mi ha fatto tornare in mente che ora o mai più.

Parto dopo aver consegnato il nuovo romanzo e aver dato disposizioni al compagno temerario su come accudire i gatti.

Per quindici giorni mi dimenticherò della rete, dei social, delle email, di whatsapp, del telefono e di questo blog, che ormai trascuro come un figlio troppo adulto.

All’inizio del mese di agosto, Malafemmena ha compiuto dodici anni. Non male, per un diario.

Ci sentiamo a metà settembre, cicloni permettendo.

Fate i bravi.

Tutta colpa di Chanel

Sono una sbadata.

Mi ero dimenticata di dirvi che da più di un mese trovate in libreria e in ebook Tutta colpa di Chanel, con questa bellissima copertina.

Tutta colpa di Chanel

Il libro è la raccolta dei primi due romanzi su Rebecca Bruni (Via Chanel n.5 e I love Chanel), una specie di ripassone per chi si forse perso le avventure della nostra Coco made in Italy. E per tutti quelli che me l’hanno chiesto, no, non è un romanzo nuovo. Non ancora.

Che significa ? Vuoi forse dire che hai cambiato idea e stai pensando a…?

Chissà! Magari a Natale potreste trovare una sorpresa in libreria.

Intanto godetevi ‘sta ventata di buon profumo. E buone vacanze!

Le frasi sul mestiere di scrittore che mi fanno schiumare di rabbia

(Considerato il grande successo, riporto anche qui il post sul mestiere di scrivere scritto oggi su Facebook, affinché non si perda per sempre nella serendipity zuckembergiana).

Le frasi sul mio lavoro che mi fanno schiumare di rabbia:

Ma tanto puoi scrivere ovunque, basta portarti dietro il computer!
No, perché, come per tutti i mestieri, hai bisogno di uno spazio dedicato, comodo, confortevole e silenzioso. E soprattutto che conosci e in cui ti senti a tuo agio. Non so scrivere sul divano di mia zia, nel baretto sotto casa o sul charter per Fortaleza. Io scrivo al mio tavolo di lavoro, nel silenzio.

– Ma se scrivi 10 ore al giorno, in una settimana hai finito il libro.
Se scrivi 10 ore al giorno, la maggior parte delle pagine sarà ahdjaduhaihdafuehnandahehakdnahdajdfhehifhfjhakdha perché l’attenzione creativa non dura per ore (dicono che oltre i 45 minuti hai bisogno di un break). Devi fare spesso pause, a volte fissi il foglio per un pomeriggio senza scrivere nulla, altre passi notti senza alzare mai le mani dalla tastiera. Se ci fosse una regola fissa ore di scrittura/pagine scritte, saremmo tutti Dostoevskij.

– Ma scusa, non ti dicono loro che storia devi scrivere?
Loro chi? Gli alieni? Gli spiriti? I Marò? Le storie sono una mia invenzione e sono l’80% del lavoro di uno scrittore. Come e cosa racconti vanno di pari passo e non importa se sono storie autobiografiche, storiche, inventate o rielaborate. Dovrebbero essere tue. Anche perché, che interesse avrebbe un editore a far pubblicare chi non ha niente da raccontare? Sarebbe un folle a inventare TUTTI i soggetti dei libri che pubblica. Oppure sarebbe un genio.

– Va be’, ma quest’anno hai scritto solo per tre/quattro mesi, il resto del tempo non hai fatto un cazzo.
Leggere, prendere appunti, viaggiare, parlare con la gente, intervistare, andare al cinema, studiare sceneggiature, discutere con editor ed editori, leggere ancora e poi leggere ancora fanno parte del lavoro. Una grande parte del lavoro. Poi ci sono quelli che scrivono una pagina al giorno, ogni giorno per tutto l’anno e gli altri, come me, che si chiudono in casa e in un mese e mezzo sfornano il libro, perché sanno mettere su carta tutto quello pensato e immaginato solo sotto pressione.

-Che significa che hai “il blocco”? Tu comincia e scrivere e poi la storia viene.
Sei un cretino.

-Ma si guadagna a scrivere libri?
Una volta per tutte e definitiva: non si guadagna a scrivere libri. Si guadagna a venderli. E su quello nessuno può esserne certo. Non è un modo per arricchirsi, a patto di non essere bravissimo o fortunatissimo. È un modo per vivere una vita bellissima, anche, magari, facendo la fame.

Mancarsi

È bello ogni tanto esserci meno.
Meno al telefono, meno agli eventi, meno nella vita degli altri, meno sui social. Circoscrivere la presenza, limitarsi, usare meno parole e meno energie. Centellinarsi per ridarsi valore, per lasciare il tempo di elaborare l’assenza, per far sentire la mancanza.
Dimenticare per un momento la schiavitù del ci sono.

Si riscoprono molte cose quando si rimane soli con se stessi. Il rumore delle proprio parole, per esempio, e non solo quello della propria voce, il piacere del proprio corpo e non solo un corpo usato per piacere, il silenzio come musica, il territorio sconfinato dei piccoli spazi che ci appartengono.

Quest’estate è caldissima e crudele e io ci sono meno. Mi fermo nelle lettere dei prossimi libri e faccio un passo indietro.
Sarà bello ritrovarsi, dopo esserci mancati.
Ne sono sicura.

Io sono nata fortunata

Io sono nata fortunata.
Sono fortunata perché il mio mondo è grandissimo, pieno di posti che posso visitare, facili da raggiungere e da conquistare.
Sono fortunata perché nel luogo in cui sono nata posso pensare tutto quello che voglio, anche le cose più stupide o atroci, o le cose più brillanti e coraggiose, e dopo aver pensato quello che voglio, posso dire quello che voglio, senza che nessuno mi possa fermare.
Sono fortunata perché mi hanno dato un libretto di carta, che si chiama passaporto, che dice che sono un essere umano per bene. Io non ho fatto niente per meritarlo, questo libretto di carta che dice che sono proprio per bene. Me l’hanno dato perché sono fortunata. Sono nata qui e non altrove, in quegli altrove dove sei scalognato solo a nascerci e se sei nato lì, tuo malgrado, devi essere proprio una brutta persona.
Non ho fatto niente per meritarmi di decidere dove voglio stare e lavorare. Non ho fatto niente, ma proprio niente di niente, per essere libera. Non ho guadagnato il mio posto al sole e , se voglio fare la turista – che bello fare il turista! – e conoscere e parlare con le persone e prendere aerei e poi tornare e, se una volta tornata, voglio rifare le valigie e andare a costruirmi una vita a Parigi, Berlino, Londra e anche più lontano, posso farlo. E magari può andarmi male e niente da fare, devo riprendere un aereo o un treno e tornare a casa mia, ma sono fortunata perché posso fare un viaggio comodo e tornare viva. Che essere vivi è bello.
Sono fortunata perché ho questa bella pelle bianca, che a esporla al sole si scotta facilmente, e ho un codice alfanumerico che si chiama fiscale e che dice che ho dei diritti. Sono fortunata perché qui si sta bene, c’è il sole e il cibo è buono e la gente a volte è bella e a volte no, ma le volte che non lo è, che è cattiva, disumana, violenta, pericolosa, intollerante, quelle volte lì, io credo che lo sia solo perché è distratta e non si è resa conto che la fortuna è solo un caso e non è mai, mai un merito.

Come nascono le storie

Mi hanno chiesto “come nascono le storie?” e mi è tornata in mente quella volta che ho notato una poltrona vuota in quella grande sala d’attesa dell’aeroporto e ho capito che c’era una storia d’amore da raccontare.
Le storie nascono da ricordi, dai lunghi pianti o brevi sorrisi, da viaggi, da aneddoti ascoltati per sbaglio, dalle scadenze sempre troppo ravvicinate delle consegne, dai libri e i film che ho amato e odiato, da brainstorming, da lunghe telefonate, da un’email, da un viaggio in metropolitana, da una canzone ascoltata distrattamente, da un bicchiere di vino, da una notte insonne.
Sono piccoli puntini colorati nascosti da strati di malta bianca e bisogna rimuovere, scavare, togliere, raschiare via e restaurare, per portarli alla luce.
Non bisognerebbe mai scrivere per pubblicare, per diventare qualcuno, per riempire uno scaffale, per annusare della carta. Bisogna scrivere perché la storia diventa incontenibile e non riesci più a tenerla nella testa e spinge e preme ed erutta ed esplode.
I lettori non sono persone che comprano, ma esseri umani che si riempiono della storia che un tempo, per poco o a lungo, era stata tua.
Se non ce l’hai, se non l’hai ancora trovata, non sforzarti, non cercarla ovunque con ansia e frustrazione, non commiserarti, non sentirti orfano. Se la tua storia non arriva, leggi, vai al cinema da solo, mangia quello che ti piace, fai all’amore, piangi, ridi, ascolta musica o stai in silenzio, parla, ascolta, parti per un viaggio, annusa il vino prima di berlo, passeggia, respira. E vivi. Perché la vita è l’unica storia incredibile che puoi raccontarti solo tu.

Reportage dal concertone di RadioItalia, come fanno quelli bravi.

Ieri sera sono stata assoldata da Toyota come inviata al Concerto di RadioItalia in piazza Duomo. Come tutti i bravi inviati, ho fatto domande scomode in giro (scusi, dov’è il rinfresco?), paparazzato e preso appunti.

Eccovi il reportage fotografico di uno degli eventi più divertenti e affollati di Milano, subito dopo la metro verde nell’ora di punta.

L'anonima location dell'evento.
L’anonima location dell’evento con una minuscola Alessandra Amoroso sul palco.

Il concerto di RadioItalia è il concertone della musica italiana, quello in cui ci sono i più bravi cantantoni del Paese, in cui canti tutte, ma proprio tutte le canzoni, senza bisogno di inventarti le parole in finto inglese, in cui porti la tipa che ti piace perché dopo di sicuro te la dà e in cui si ritrovano per fare festa insieme tutti i giornalisti/blogger/personaggioni/produttori/speaker radiofonici/wannabe.

I bravi presentatori che l'anno prossimo verranno sostituiti da Dania&Claudio.
I bravi presentatori che l’anno prossimo verranno sostituiti da Dania&Claudio.

A rappresentare l’ultima categoria, c’ero io insieme al mio amico Claudio Mastroianni, omonimo – per puro caso – di un amatissimo personaggio dei miei romanzi e compagno di mille e più avventure.

Rimasti di sasso alla richiesta di Gianna Nannini di farle da coristi.
Rimasti di sasso alla richiesta di Gianna Nannini di farle da coristi.

Lo sponsor ci aveva fornito un invidiabile pass che, oltre a dare accesso alla zona sotto al palco, soprannominata VIP RING (mica cotiche!), ci permetteva di bivaccare nella terrazza del ristorante di Giacomo Arengario, al terzo piano del Museo del Novecento, dove era stato allestito un rinfresco, con un commovente open bar.

La distesa di essere umani immortalati dalla terrazza del Museo del Novecento. Densità di popolazione di Pechino.
La distesa di essere umani immortalati dalla terrazza del Museo del Novecento. Densità di popolazione di Pechino.

Col nostro pass, però, non potevamo accedere alla zona più “calda” (nel senso proprio di temperatura) dell’evento, il backstage, e per riuscire a scucire foto piccanti con gli artisti, Claudio e io abbiamo utilizzato una tecnica di cui siamo ormai padroni indiscussi: l’imbuco.
Dopo aver eluso più di un bodyguard con il nostro fascino magnetico e con più di una supercazzola prematurata con doppio scappellamento a destra, ecco i meravigliosi (quasi)selfie rubati durante la serata.

Nesli insiste per fare una foto con noi, dal gusto retrò.
Nesli insiste per fare una foto con noi, dal gusto retrò.
Noemi esce dal camerino di Fedez, dove s'era imbucata per scroccare tramezzini.
Noemi esce dal camerino di Fedez, dove s’era intrufolata per scroccare tramezzini.
Fedez esce per rincorrere Noemi e viene subito circondato da elettori di Gasparri.
Fedez esce per rincorrere Noemi e viene subito circondato da elettori di Gasparri.
Ha poi insistito tantissimo per un quasiselfie con la sottoscritta.
Ha poi insistito tantissimo per un quasiselfie con la sottoscritta.
Ah, c'era anche Claudio...
Ah, c’era anche Claudio…
Per non parlare del Photobombing di Lorenzo Fragola! Te lo ritrovavi in tutti gli scatti.
Lorenzo Fragola era il genio indiscusso del photobombing. Te lo ritrovavi in tutti gli scatti.
Ligabue ha preteso un primo piano di tutto rispetto, per il suo quasiselfie.
Ligabue ha preteso un primo piano di tutto rispetto, per il suo quasiselfie.
Mentre Gianna Nannini, nostra grande fan, aveva dato disposizione ai suoi bodyguard di tenerci a distanza di almeno 10 metri dal suo track.
Mentre Gianna Nannini, nostra grande fan, aveva dato disposizione ai suoi bodyguard di tenerci a distanza di almeno 10 metri dal suo truck.
Al calar delle tenebre, ci siamo ritirati in terrazza, ad ammirare lo splendido panorama e a gridare alla folla "mangino brioche!".
E al calar delle tenebre, mentre cantava Mengoni, dopo ore di divertimento, ci siamo ritirati in terrazza, ad ammirare lo splendido panorama e a gridare alla folla “mangino brioche!”.

Grazie Toyota Italia per la bellissima serata. Siamo già pronti per la prossima avventura! (Anche se Claudio non ricorda dove ha parcheggiato l’AYGO, ieri sera…).

Cosa ricorderò più a lungo di questo concerto? MA CHE DOMANDE!
Quando sono rispuntati bomber e anfibi e abbiamo solennemente ricordato gli anni ’90.

Sei un mito, Max!
Sei un mito, Max Pezzali!