Archivi tag: film

L’amore è meglio un po’ bugiardo

Sono sempre stata una di quelle sincere, di quelle che in una relazione l’onestà è tutto, dirsi le cose, chiamare ogni problema con il suo nome, condividere ogni dubbio, ogni emozione, anche il tormento. Sono sempre stata convinta che è meglio confessare un tradimento che mentire, sempre meglio sapere che ignorare, più giusto discutere che evitare lo scontro.

Sincerità era il mio mantra.
Trasparenza, verità, franchezza, schiettezza.
Perché dire, parlare, usare tutte le parole ti rende sempre una persona migliore.

Un paio di settimane fa ho visto Gone Girl (no, non l’avevo visto al cinema. No, non ho letto il libro. Sì, lo se che ne avevate parlato tutti benissimo. Ho i miei tempi). Il film racconta la storia di una giovane coppia, Nick/Affleck e Amy/Pike, la cui perfezione da cartolina viene spazzata via in un soffio il giorno del loro quinto anniversario, quando la giovane moglie – puff – scompare nel nulla, lasciando il povero manzoAffleck solo nel dubbio. Nessuno sa che fine abbia fatto la biondina e tutti cominciano a indagare, tirando fuori eserciti di scheletri dagli armadi (è solo un modo di dire. È un thriller, non un horror).
Non spoilererò perché non sono una brutta persona, ma la storia è una interessantissima matrioska di mezze bugie e terzi di verità, sospetti sorti all’improvviso, dubbi che non dovresti mai porti sulla persona che ami, ripensamenti. Ho sempre vissuto nella menzogna? O quello che era vero mi sembra falso adesso che le cose vanno male?

Il film è bello, e va be’, ma non è questo il punto. La questione è: possiamo mai dire di conoscere davvero le persone che amiamo? O meglio, possiamo conoscerle meglio di noi stessi, ma chi ci assicura che essere dei libri aperti ci protegga dalle delusioni? Come facciamo a essere sicuri di non cambiare mai o che l’altro non cambi? Si può pensare davvero di vivere senza nascondere segreti?

Mi sono resa conto di essere cresciuta. Anche nelle relazioni. Di aver iniziato a pretendere meno dagli altri e più da me stessa. Di aver capito che la verità è pericolosa come un’arma, che devi imparare a maneggiarla bene, che a volte, più spesso di quanto avrei immaginato, la sensibilità è più importante della sincerità.

Forse una bugia può essere utile, se è detta per non ferirmi.

Ho capito questo.

E spero lo capisca anche tu, la prossima volta che ti chiederò “mi trovi ingrassata?”.

50 sfumature: perché il libro è meglio del film

Ho capito cosa mi ha disturbato.
Nel libro aveva più senso. C’erano almeno 400 pagine in cui si capiva che Mr Grey era nu poc’ spustat’ e che forse non le avrebbe mai dato la relazione romantica che Anastasia desiderava.
E soprattutto si capiva perché.
Nel film manca tutta la parte di durezza, indifferenza, privazione che – seppur lieve – rendeva il romanzo credibile. Lui non voleva farsi toccare il busto. Lui non parlava. Si alzava tutte le notti e suonava come un dannato. Le rompeva in continuazione le palle per farla mangiare. La controllava. La voleva lavare. Aveva la vecchia col fiato sul collo.
E anche se comunque non era BDSM di quello che indossano il latex pure a colazione, almeno era “anomalo”.
Nel film la tensione è sparita.
Cioè, per motivi di tempo, hanno tagliato i punti salienti e lui è diventato un figo ricchissimo, dolcissimo, che la lega come un caciocavallo, ma solo per scoparla meglio e le dà ogni tanto due pacche sul sedere. Che era più sadomaso quella volta che io ho lanciato la pentola con la pasta e piselli addosso al cretino del mio ex.
Poi, Grey, le lascia una camera bellissima dove lei può riposare da sola (e chi di noi non vorrebbe una camera e un bagno personali, invece di avere uno che russa, si agita, ruba la coperta, suda accanto?) e le dice ogni due secondi “sei mia”, “mi appartieni”. Le regala macchine, fanno sesso alla missionaria.
E lei è confusa.
“Perché vuoi questo, Christian?”. Ma questo cosa??!!
È confusa, porcatroglia! Ma che te confondi?
Nel film non ha senso ‘sta perplessità. È ridicola. MA QUALE DONNA DIREBBE DI NO A UNO PERFETTO? Anche mia madre avrebbe già fatto le valigie.
Il regista si è dimenticato la parte credibile.
Quella in cui lui le fa un paio di mosse di Hokuto e la mette a tappeto. Così la finisce di frignare.
Stronza.

Foto di Daniele Devoti
Foto di Daniele Devoti

Dalla mia pagina FB.

Di film belli e offerte di lavoro

WordPress ha fatto i capricci tutto il giorno e il mio post quotidiano, cancellato, riscritto, ripreso e poi andato in malora, è slittato a stasera. Però (però) in TV danno quel film meraviglioso di Gondry che il mondo chiama The eternal sunshine of the spotless mind e che noi, solo noi, abbiamo ribattezzato con orrore Se mi lasci ti cancello.

E io lo riguarderò per la millesima volta. E piangerò ancora e ancora. E penserò ancora che l’amore è proprio così e preparerò un pezzo strappalacrime per domani.

Promesso.

Ah, quasi dimenticavo: sono alla ricerca di un grafico che voglia studiare insieme a me un nuovo tema per il mio blog che sia più simile alla nuova me stessa. Ne voglio uno bravo e paziente. E se fosse economico, poi, uh, che meraviglia! Per candidature e preventivi, trovate i miei riferimenti nella pagina contatti.

Passo e chiudo.

L’apostrofo rosa

Mi ero dimenticata di dirvi che, da un mese, collaboro con Bloglive, che è un giornale online pieno di giovani speranze, e curo una rubrica che si chiama L’apostrofo rosa.

Nell’apostrofo rosa, recensisco. Libri, film, spettacoli teatrali, dischi, serie tv, eventi, mostre, cene di gala e tutto, TUTTO, quello che ruota attorno all’amore.

Perché l’amore, oh, fa davvero girare il mondo e tira fuori il meglio dalla testolina degli artisti.

Ho già parlato di:

Io che amo solo te, di Luca Bianchini

Mood Indigo, di Gondry

Nuvola numero nove, di Samuele Bersani

e nel pezzo di oggi, di tutti i film che ricordo in cui la pasta fa da collante alle storie d’amore (un modo tutto mio per tirare le somme del Fusillogate Barilla).

Scrivo un pezzo ogni giovedì.
Buona lettura.

Festival di Cannes – mattina #2

Se potessi, vivrei tutto il giorno, tutti i giorni, leggendo libri e guardando film. Lo farebbe chiunque (anzi, in molti non leggerebbero, perché – ahinoi! – sta passando di moda).

A Torino c’è il Salone del Libro, a Cannes la meraviglia del cinema.

Se potessi, vivrei in un festival perenne. Tre pellicole al giorno, un caffè a due passi da François Ozon, discussioni lunghissime su significati e montaggi, sorrisi della gente, male ai piedi e poche ore di sonno.

Se potessi, vivrei la vita come se fosse un film, con i tempi giusti, i dialoghi in cui non sbagli una parola, gli sguardi perfetti, i silenzi impeccabili.

Se potessi, scroccherei champagne tutte le sere e metterei sempre l’abito lungo che mi hanno prestato e sorriderei pensando che la vita è tutta patinata, che i capelli ti stanno sempre perfettamente, che il rossetto non  sbava mai, che la tua storia basta solo raccontarla al meglio e che ogni esistenza è un film, che puoi guardare anche senza aver fatto l’accredito.

Carlton Cannes

Closer è un film bellissimo

Sono andata in palestra la domenica mattina. Non avrei dovuto farlo. Era affollata, c’era la fila per gli attrezzi, fila per gli armadietti, fila per docce, fila per phon. E poi i corsi erano di livello base, perché le sciure della domenica vengono in palestra truccate e non possono sudare.

In palestra mi guardo allo specchio, tantissimo, e a volte mi dico diomio, ma cos’è quella cosa?! e altre mi dico niente male, davvero niente male.

Penso di essere soddisfatta di quello che sono diventata.
No, non è quello che sognavo da bambina. Che poi, da bambina, cambiavo idea ogni tre mesi. Un giorno volevo essere un’archeologa, il giorno dopo una regina, poi una scrittrice, poi una ballerina, poi una delle sorelle Occhi di Gatto, poi un benzinaio.

Sono soddisfatta perché sono stata capace di cambiare, perché ho imparato a chiedere scusa, perché riesco ancora a pagarmi le spese, senza dover tornare in un ufficio, perché ho accettato il tempo che passa, perché ho tagliato i ponti con persone-cose-luoghi che mi rendevano una brutta persona.

Un tempo mi sarei logorata all’idea di non aver avuto di più. Adesso vivo con la certezza che dovrei essere io a dare di più.

Poi ho imparato una cosa difficile difficile che mi ha resa cintura nera del saper vivere. Ho imparato a dire di no.

No alle situazioni sgradevoli, no ai compromessi professionali, no alle umiliazioni per soldi, no alla ruffianeria, no agli impegni mondani pieni di gente che odio, no alle amicizie ipocrite e interessate, no agli appuntamenti con uomini ricchi e famosi, ma interessanti come la lettiera del mio gatto.

Sono soddisfatta perché ho superato le mie durezze e non ho più paura di dire ti amo per prima. Perché quello che lo dice per primo, si sa, è quello che si fa più male.

Non ho più paura, perché ho imparato che, quando incontri la metà esatta della mela, non puoi permetterti di perdere tempo.

Non c’è tempo da perdere, non c’è da riflettere, quando arriva quello giusto. Anche se dice che Closer è un brutto film. Non può pensarlo davvero. L’ha detto così, dai, per fare il macho. Closer è un film bellissimo. Deve ammetterlo. Magari ne riparliamo domani e anche dopodomani. In fondo, sono io la donna. Non può fare altro che rassegnarsi e darmi ragione.

 

Quella cretina di Rossella O’Hara

Quelle come me hanno visto una mezza dozzina di volte Via col vento, da ragazzine. E tutte quelle come me volevano essere Rossella.

Quelle come me si innamorano ogni volta di Ashley e ogni volta lui vuole sposare Melania. Ogni benedetta volta!

Ma noi speriamo nel lieto fine e aspettiamo, aspettiamo e intanto succedono guerre e carestie e noi ci sentiamo gran fiche, facciamo sacrifici, ci sentiamo belle e forti e pensiamo “adesso gli faccio il culo al mondo, gliela faccio vedere io”. E stiamo lì, ad aspettare i ritorni che non arrivano, a sospirare, a invidiare anche un po’ quella moscia di Melania. Ci fidanziamo per dispetto, siamo libertine, siamo toste, siamo arrabbiate e sappiamo che ce la possiamo fare. Noi ce la dobbiamo fare.

Intanto c’è Rhett, l’avventuriero, l’uomo di mondo, che è pure bono, ma noi no, noi vogliamo lo sdolcinato, il fessacchiotto, l’uomo di un’altra.

E così tutta la vita, a inseguire uomini sbagliati sperando che tornino da noi. Ché noi siamo quelle giuste. Non l’hanno ancora capito?

Fino a quando poi succede che, alla fine, sposiamo Rhett, ma siamo sempre innamorate di Ashley e lui, a un certo punto, ne ha pieni i maròni di questa storia e ci molla.

Se ne va.

Solo allora, in quell’istante, quando il Rhett decide che siamo delle cretine cosmiche e non meritiamo di stargli vicino, noi ci accorgiamo di amarlo.

Perché alla fine, il vero figo era lui. E noi ce ne accorgiamo troppo tardi e gli diciamo resta, resta qui, come farò senza di te.

E lui dice sempre la stessa solita frase: “francamente, me ne infischio”.

Quelle come me ci mettono anni a capire che Rossella O’Hara è una cretina. È una che non ha capito nulla della vita, troppo presa a seguire una chimera per il solo fatto di non riuscire a fare a meno di desiderare quello che non ha.

Io l’ho capito da poco, quanto possa essere cretina una Rossella O’Hara. Però, forse, l’ho capito in tempo. Anche se ormai sembra tutto perduto. Tutto. Ho capito che gli uomini che vogliono sposare Melania è meglio che stiano con Melania. Prendiamoci quelli scaltri e ricchi e figli di puttana.

Io l’ho capito da poco che Rossella era proprio una cretina. Ci ho messo un po’ di tempo. Però ho fiducia nel futuro, perché domani è un altro giorno e posso sempre riconquistare il mio Rhett. O tanti altri Rhett.

L’importante è che paghino da bere.

P.s. È incredibile quali inaspettati ritorni ci offra la vita. Non bisogna mai perdere la speranza. E non bisogna mai smettere di fare palestra e andare dall’estetista, perché è meglio farsi trovare preparate. Sempre.

Gli specchi

Oggi è il primo giorno dell’anno e io ho passato il tempo a riempire i vuoti, a pulire casa, a finire avanzi, a leggere un bel libro e a chiedermi perché non l’abbia fatto prima, a carezzare il gatto, a sospirare, a guardare fuori dalla finestra il sole pigro che tramonta su Milano.

Ho passato il tempo a ricordare appena e appena arrivavano i ricordi, insieme alla noia che non fa altro che riportare a galla passati irreparabili, iniziavo a fare qualcosa, qualcosa per riempire vuoti.

Ho guardato un film e tanti telefilm e c’era una scena in una puntata in cui la protagonista faceva una cosa sbagliata, che però la faceva stare bene, tipo farsi un amante, ché gli amanti quando sei trascurata ti fanno sentire viva, ti fanno venire voglia di truccarti e vestirti bene e curarti e sorridere, quei sorrisi idioti per qualsiasi coincidenza, ti fanno venire le farfalle nello stomaco e le ginocchia molli e lei aveva questo amante, però il marito distratto le chiede cosa c’è e lei allora si sente terribilmente in colpa, perché ama quel marito distratto che la trascura, e gli risponde niente niente e poi si guarda allo specchio e rimane lì a fissarsi con quell’espressione che dice oddio, ma cosa sto facendo? sono una brutta persona.

Mentre la guardavo io pensavo che questa cosa di guardarsi allo specchio nei momenti difficili e fondamentali della nostra vita e riconoscersi e capire tutto e dire ma cosa succede, cosa mi succede? io non sono così no no no adesso sistemo tutto, questa cosa di guardarsi allo specchio che piace tanto al cinema e alla tv, nella vita vera non succede mai.

Nei momenti difficili e fondamentali ci guardiamo appena allo specchio e solo per vedere se possiamo sistemare i capelli, se possiamo mascherare le occhiaie. Nei momenti difficili quasi non ci percepiamo, non ci facciamo distrarre dalla nostra immagine, non ci fissiamo mai, fissiamo soprattutto gli altri, pensiamo molto e ci guardiamo poco e se lo facciamo non abbiamo mai rivelazioni.

Questa cosa di guardarsi allo specchio e capire a me non è mai successa, allora mi sono messa davanti allo specchio, per capire se capivo e non ho capito nulla, ho visto questo viso un po’ invecchiato, il mio nuovo taglio di capelli, le occhiaie per il poco sonno, gli occhiali ancora sporchi del colore di quando ho imbiancato casa, mi sono vista con due chili di troppo e le mani con lo smalto rosso e non ho capito, forse perché non c’è più niente da capire, forse perché è finito tutto, è passato un anno intero, sono sopravvissuta, nonostante i vuoti da riempire e l’assenza rumorosa e le parole spedite per ricevere indietro silenzi.

Questa cosa di guardarsi allo specchio non fa capire, però nei film funziona e poi oggi è il primo giorno dell’anno, è il giorno in cui non c’è niente da capire, è il giorno in cui programmare tutto e ho ancora del panettone ai frutti di bosco e per un po’ non mi guarderò allo specchio, aspetterò nuove farfalle nello stomaco, finirò i libri belli, lascerò che arrivi il nuovo, smetterò di vivisezionare il passato e inizierò a bere molto meno caffè.

Come Forrest Gump

Da quel giorno lì che ho sentito la frattura, ho iniziato a correre prima che la crepa si allargasse troppo.

E più correvo più si allargava e io mi dicevo devo andare avanti, non mi devo fermare, non mi devo fermare.

Da quel giorno che ho sentito che tutto si era rotto, ho iniziato a correre e avrei voluto trascinarti per mano e farti correre con me e non farti cadere nella crepa e dirti salta, salta adesso che ce la possiamo fare e non dobbiamo fermarci, non dobbiamo fermarci.

Da quel giorno lì che ho sentito quel boato, che era dentro, proprio in fondo, e io pensavo che si fermasse il mondo, invece era un rumore assordante solo nel mio troppo silenzio, ho iniziato a correre e non sono riuscita, non ce l’ho fatta, a dire tutto, a finire tutto, a chiudere tutto, a salvare tutto.

Ogni tanto mi dicevo devo tornare indietro e continuavo a correre e poi mi giravo e mi dicevo ma forse anche lui, anche loro mi corrono dietro e vogliono raggiungermi e non mi lasceranno sola.

Da quel giorno che ho sentito che era il momento, che niente sarebbe più stato lo stesso, che non ce l’avevo fatta, che non c’era salvezza, non c’erano ritorni, ho iniziato a correre e ho corso così tanto che non avevo più fiato e non avevo più forze e non avevo più strada e non avevo più meta.

E poi oggi mi sono ritrovata così, a correre senza fermarmi, in Corso Buenos Aires e c’era un caldo torrido e c’era la folla che mi passava accanto e c’erano cose che avevo già visto e niente mi apparteneva ed era un luogo anonimo e largo e con troppa luce.

E allora mi sono fermata. Ché se corri e corri e corri per mesi, tra le macerie, tra il vuoto e il troppo pieno, e poi ti ritrovi lì, in questa Milano che è sempre di tutti e di nessuno, in cui non ti senti mai estranea e mai a casa, piena di cose da fare e con poche persone a cui dire, se corri e corri per mesi e ti trovi, col mal di piedi e con la testa piena, in Corso Buenos Aires, con la canicola e i pensieri ammassati e senza nessuno che ti aspetta e senza nessun impegno, se corri e corri, poi dici basta, ho corso troppo, adesso basta.

Ho corso abbastanza per sfuggire a tutto e ho lasciato tutto alle spalle e ho perso tutto e correndo ho trovato cose nuove, ma non le ho portate dietro con me, perché correndo devi stare leggera, senza bagagli, senza fardelli.

Ho corso abbastanza e mi fermo.

Sono un po’ stanchina.

Catechismo 2.0

Benedetto XVI chiede ai giovani di navigare meno in internet.

Lasciamo navigare solo i bambini, per facilitare il lavoro dei preti.

Domani, martedì 2 dicembre, alle ore 19,30, presso lo Spazio Tadini a Milano, ci sarà il Booksparty 2.0, durante il quale verrà proiettato, in anteprima, DELITTO & CASTING – Tanti baci da Serena, il web film di Antonio Zoppetti.
Tra i protagonisti del film più atteso a Natale, anche la dottoressa e l’architetto.

Buona visione!