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Tu lavori? E io non ti pago
L’ho già scritto molte volte, ovunque, compreso nelle email che mando a mammà, che la crisi è diventata un alibi sfruttato fino all’esasperazione per non pagare.
Riassumo il mio pensiero spicciolo: in Italia c’è lavoro. Non ce n’è come un tempo e non ce n’è per tutti, soprattutto per quelli che – ammettiamolo – non hanno mai saputo fare una mazza, si sono adagiati su piccole certezze ormai scomparse nel vento, senza mai aggiornarsi, evolvere professionalmente, studiare, imparare.
Però ce n’è, se sai proporti, se sai adattarti, se conosci le lingue, se sai interagire con esseri umani e non di qualsiasi tipo, se sei disposto a farti il mazzo. Lavori.
Il vero problema è farsi pagare.
Non paga nessuno. Ma proprio nessuno.
Certo, io sono una libera professionista e probabilmente il mio mondo è molto più complicato (ma forse nemmeno tanto), rispetto a quello di un dipendente. Ricordo che, fino a tre anni fa, quando avevo il mio contratto a tempo determinato, lo stipendio veniva accreditato ogni mese, ma sul collo mi pendeva un’altra mannaia, quella del rinnovo che fino all’ultimo giorno “vedremo” “chissà” “non possiamo garantirtelo”.
In Italia non paga nessuno. Quelle scadenze che tu metti in fattura, 30 gg, 60 gg df, 90 gg dffm ecc., non servono a nulla. Sono geroglifici che nessuna amministrazione, grande o piccola, riesce o vuole più decifrare.
“Eh, ma c’è la crisi!”
È una crisi che da vent’anni ci trasciniamo come biglietto da visita da debitori, da quando è diventato lecito (e legittimo) pagare dopo due, tre, sei mesi una prestazione professionale.
La scusa più frequente che ti senti dire è: “quando il mio cliente pagherà me, io pagherò te” e lì vai a capire se non si perderà nella notte dei tempi, il saldo della tua fattura, dal momento che la tua attesa si basa sulla fiducia che il tuo datore di impiego non abbia liquidità sufficiente a pagare il tuo micragnoso compenso.
Non escludo che i casi di inadempienza siano in alcune situazioni l’unica possibilità di rimanere a galla, ma ho la certezza, supportata da fatti, che il malcostume sia soltanto diventato prassi, prassi alla quale abbiamo fatto l’abitudine, adeguandoci con rassegnazione, convinti di non avere alternativa.
Il lavoro del freelance si sviluppa in queste fasi:
– aggiornamento competenze
– autopromozione
– contrattazione di un compenso molto spesso umiliante, frutto di “chiediamo a qualcun altro che ce lo fa per la metà” “abbiamo un budget risicatissimo” “possiamo al massimo darti un sacchetto di fagioli secchi e un buono pasto” “ma alla fine devi farci due sciocchezze” “ma questo preventivo è fuori dal mondo. Quel lavoro può farlo una mia stagista a costo zero”
– svolgimento della prestazione che risulta essere sempre più impegnativa e onerosa di quanto concordato
– fatturazione con indicazione termini di pagamento
– attesa saldo
– attesa
– attesa
– attesa
– sollecito ad amministrazione
– attesa
– attesa
– ulteriore sollecito con minaccia (palesemente fasulla) di consultazione con legale
– attesa
– colorite bestemmie e richiesta di prestito a genitori pensionati per poter pagare affitto e bollette
– attesa
– desiderio di cavare gli occhi a cliente inadempiente con un cucchiaino
– ulteriore disperato sollecito che verrà infilato nella cartellina spam
– raro lieto fine con pagamento
– nessun pagamento, con successiva reale consultazione di un legale che chiederà un compenso pari o maggiore al pagamento dovuto e che a sua volta dovrà attendere tuo saldo.
Le aziende corrette, rarissime, quando hanno difficoltà a mantenere gli accordi, ti avvisano in anticipo e ti inviano scuse scritte e garanzie di pagamento repentino.
Le altre, la maggior parte, fanno finta di nulla, addestrano i referenti amministrativi all’omertà, insinuano nelle email sibilline minacce di non rivolgersi più a te per ulteriori lavori (e stigrandissimicazzi! Sono io che non voglio più lavorare con te, brutto rottoin***o!), spesso giustificano il loro ritardo con tue carenze o errori che, guarda caso, non erano saltati fuori durante lo svolgimento della mansione.
C’è una soluzione al circolo vizioso del lavoro e non vengo pagato quindi cerco altri lavori per mangiare e non vengo pagato nemmeno per quelli e così all’infinito?
Nelle appassionate discussioni su Facebook e Friendfeed sull’argomento, le ipotesi sono sempre irrealizzabili: “richiedi un anticipo prima di iniziare il lavoro” (ahahahahahaha. Sarebbe più facile chiedere a Sergio Múñiz di passare la notte con me e ricevere un sì come risposta), “rifiuta il lavoro” (rinunciando anche alla minima speranza di ricevere del denaro in un lontano futuro), “cambia mestiere” (uh, come ho fatto a non pensarci!), “vai a vivere all’estero”.
Il Paese è lo specchio della sua classe politica, clienti truffaldini, nessun senso civico, fornitori e dipendenti senza alcun potere contrattuale e nessuna possibilità di mordere, ferendola, la mano del padrone, l’idea viscida e radicata che pagare (tasse, prestazioni, servizi) sia una perdita di tempo.
Quelli di noi che hanno una memoria a più lungo termine della massa ricorderanno senza fatica che il declino del sultano ventennale iniziò quando una delle sue mignotte decise di sputtanarlo, perché non era stata pagata.
Se potessimo produrre energia dall’indignazione, avremmo risollevato le sorti dell’Italietta.
E invece ci troviamo a fare i conti con la desolante certezza che le cose cambieranno a fatica e sempre perché arriverà qualcuno da mamma Europa e tirarci le orecchie. Se mai accadrà.
E siamo circondati da tanti piccoli lavoratori come noi che decidono di essere conniventi.
“Piuttosto che non lavorare lavoro gratis”.
Be’, caro collega che abbassi il valore del mio lavoro concedendo la tua prestazione a costo zero, convinto che un domani la cosa possa tornarti utile e, intanto, abiti nella tua cameretta di bambino a casa di papà, ti svelerò un segreto: se non sei pagato, non è lavoro. È volontariato, o masochismo. Se non ti fai pagare adesso, nessuno ti pagherà mai, perché il tuo valore verrà concepito per il prezzo a cui lo vendi: zero.
E voi, cari clienti che non pagate e fate finta che la cosa vi sia sfuggita per distrazione, che leggete o no il mio blog, che considerate il mio lavoro buono o cattivo, ma non prioritario, salvo cercarmi per risolvere rogne, voi che non sganciate un euro da mesi e dormite tranquilli, sappiate che io vi ricordo sempre nelle mie preghiere, nell’ultima disperata speranza del contrappasso, quando starete bruciando tra le fiamme dell’inferno e i diavoli vi rassicureranno dicendo “non ti preoccupare per la sete. Tra 180 giorni fine mese, ti darò una lattina di Coca Zero”.
Disoccupati jazz
La prima cosa che ho capito nella ricerca di un lavoro è che nessuno deve capire che hai davvero bisogno di un lavoro. Soprattutto se anche tu ti sei ritrovato, come me, a fare il freelance o, meglio, il disoccupato jazz.
Devi dare l’idea di essere uno richiestissimo, che se lo fa è proprio perché vuole farti un favore, che deve controllare la sua agenda fitta di impegni. Ti faccio sapere, non so se riesco, sono pieno di richieste, tutti mi vogliono, tutti mi cercano.
Il fornitore di lavoro è più predisposto a far sgobbare chi ha già una fonte di guadagno che chi non ce l’ha. Perché, se nessuno ti fa lavorare, è quasi sicuramente perché non sei abbastanza bravo. Importa poco se il tuo curriculum è eccellente, se hai dimostrato di essere in gamba, se hai già lavorato con successo in tanti progetti simili. Ce l’hai un lavoro? No? Allora mi dispiace, non posso darti lavoro.
Quello che spesso la gente ignora (o fa finta di ignorare), in un settore come il mio e in moltissimi altri, è che la maggior parte dei lavori si ottengono non per merito, ma per strette di mano, aperitivi tracannati insieme, matrimoni, discendenza, passaparola. Quello che più conta è la tua capacità mondana e diplomatica, chi frequenti, chi sposi, con chi sei andato all’università (e con chi sei andato a letto, anche se il sesso è una moneta di scambio che ha sempre meno valore, a meno che tu non sia un ultrasettantenne Presidente del Consiglio).
Essere bravi è spesso la cosa meno importante. Non sempre, certo, ma con molta frequenza. Perché dovrei affidarti un lavoro in base al tuo curriculum, quando tizio e caio sono amici di mia moglie dai tempi del liceo?
Così, se perdi il lavoro ti ritrovi in un circolo vizioso di non lavoro e l’unico modo per uscirne e trovare di nuovo lavoro è, appunto, trovare un altro lavoro.
Cosa stai facendo al momento? Mah, seguo progetti, do consulenze, collaboro.
La millantata collaborazione è l’unica scappatoia alla fame. Purché sia credibile. Con un po’ di pratica, diventi credibilissimo nella supercazzola del lavoro supposto. In un Paese meraviglioso in cui anche i politici millantano titoli di studio e competenze, perché dovresti privarti del vantaggio di venderti come se fossi stocazzo?
Oltre alla frustrazione e alla disperazione di non poter arrivare a fine mese o, peggio, nemmeno alla metà del mese, devi sorbirti anche la beffa del “preferisco affidare il progetto a qualcuno che è già attivo nel settore”.
Sei un passivo, motivo per cui te lo infilano sempre nel sedere.
Qualche mese fa, all’inizio del mio periodo nero di mancanza di liquidità che ancora persiste, per i pagamenti sempre più dilazionati e per la diminuzione di brand e agenzie alla ricerca di figure come la mia, ho mandato a tutti i conoscenti che potevano darmi una mano questa e-mail.
Ciao,
hai sentito parlare di quella faccenda della crisi?
Ecco, io mi ci sono ritrovata invischiata, senza che nemmeno me ne rendessi conto.
Quindi, adesso, cerco lavoro.
Sono brava a intrattenere, organizzare e scrivere. Ma so fare tantissime altre cose. Tutte quelle che servono.
E non sporco, non alzo la voce, non organizzo ammutinamenti, non rompo le scatole.
Ho una partita IVA e non ho paura di usarla.
Insomma, cerco collaborazioni, anche piccole e non ho bisogno di scrivanie perché lavoro benissimo da remoto.
Se conosci qualcuno che cerca, potresti fare il mio nome? Ti ricorderò per sempre nelle mie preghiere.
Scusa se ti ho messo in ccn, ma era il modo più veloce per implorare più persone allo stesso tempo.
Buona giornata,
Daniela
Tutti mi hanno dimostrato grande solidarietà, anche se la trippa per gatti era pochissima e a spartirci la pagnotta siamo in troppi, tranne un conoscente che mi ha detto, con molta franchezza: “speri davvero di trovare lavoro chiedendo lavoro? Devi tirartela! Te lo puoi permettere. Solo i perdenti elemosinano collaborazioni”.
Così ho provato a tirarmela. Ho chiesto un prestito per pagarmi l’affitto, in attesa che gli ultimi creditori saldino i loro conti, e sono andata avanti. Sono tornata a fare la presenzialista, a infilarmi agli aperitivi, a fare la linea comica, a sorridere, ad andare a cena con beceri figuri che “proponimi un’idea” (salvo poi sparire quando la tua idea non coincide con il loro materasso). Ho iniziato a dire che mamma mia, non ho un momento libero, per tutto questo lavoro!
La stima nei miei confronti è tornata alle stelle. Ah, che sensazione meravigliosa sentirsi vincenti! Anche se la spesa all’Esselunga la paghi in quattrini e non in ammirazione.
Pochi giorni fa, un progetto per cui ero perfetta è stato assegnato a un’altra persona. Secondo un talpa interna, il mio preventivo era troppo basso e non mi dava credibilità.
La seconda cosa che ho imparato sul lavoro è che se costi poco nessuno ti darà un lavoro. Salvo poi perdere lavori perché “non c’è abbastanza budget”.
Il ministro Fornero aveva scatenato un putiferio affermando che i giovani italiani sono troppo choosy.
Be’, io credo che invece… VAFFANCULO!
La terza cosa che ho imparato sul lavoro è che non capirai mai fino in fondo cos’è che fa davvero funzionare le cose.
Improvvisare, bisogna continuare a improvvisare.
“Quando non sai cos’è, allora è Jazz!”
(Alessandro Baricco)